sabato 17 maggio 2008

La moglie di Giorgietti condanata per truffa


La notizia è avvolta da una cortina di silenzio bipartisan come neanche le nebbie in Val padana di una volta.

Avete presente Giancarlo Giorgetti da Cazzago Brabbia, quel ragazzone esagitato, nominato erede universale di Umberto Bossi, già presidente della Commissione Bilancio in Parlamento, e segretario nazionale della Lega Lombarda?

Sì proprio lui, quello che sostiene la superiorità etica dei Lumbard sul resto degli italiani e che Roma Ladrona ruba nelle tasche dei lombardi.

Ebbene la sua signora, Laura Ferrari in Giorgetti, ieri è stata condannata per truffa ai danni della Regione Lombardia. Avete capito bene: la moglie del sacrestano rubava proprio in chiesa!

La consorte dell’integerrimo capetto di un partito che quando rubavano i socialisti e i democristiani sventolava i cappi in parlamento e per un avviso di garanzia organizzava fiaccolate (salvo poi allearsi con i pregiudicati Previti, dell’Utri e Ciarrapico), ha patteggiato davanti al Gup del tribunale di Busto Arsizio, Chiara Venturi, due mesi e 10 giorni di reclusione per truffa ai danni della Regione Lombardia. La pena è stata convertita nella sanzione pecuniaria di 3.240 € più 25.000 di risarcimento del danno alla regione truffata.

La signora Ferrari si era organizzata una bella onlus per farsi finanziare, incredibile ma vero, corsi di equitazione. Per questa attività la Regione Lombardia versava soldi pubblici per ben 400.000 Euro agli interessati tra i quali, oltre alla signora Giorgetti, ci sono state altre due condanne. Non essendoci sufficienti iscritti ai corsi per ottenere i finanziamenti i nostri hanno ben pensato di inventare iscritti fantasma falsificando le firme.

La penosa vicenda induce ad ancor più penose riflessioni oltre all’ovvia considerazione sulla moglie di Cesare (Giulio, non Previti). Confrontate il silenzio su questo caso con le vere campagne d’odio contro la signora Mastella, rea non tanto di fare cose simili a quelle della signora Giorgetti, ma in primo luogo di essere campana e non lombarda. Pensate al calunnioso e razzista senso di superiorità con il quale la Lega Nord e simili trattano situazioni analoghe nel resto del paese. Pensate al vergognoso slogan su “Roma Ladrona” e avrete capito cos’è il federalismo fiscale per la Lega Nord: una miglior maniera per spartirsi la ricca torta delle tasse dei lombardi.

fonte: www.gennarocarotenuto.it

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Per legittima par condicio beccatevi questa:

Travaglio-D'Avanzo La comica lite di due manettari di GIANLUIGI PARAGONE

15.05.2008 da Libero http://libero-news.dnsalias.com/libero

La notizia sembra essere che Travaglio ha rotto pure dalle parti del gruppo De Benedetti.
Dopo tanti anni di lingua in bocca, Repubblica ha piazzato un siluro della serie "colpito e affondato". Poi però capisci che la notizia vera è un'altra: l'Ingegnere ha cambiato idea, il giustizialismo fa solo danni.

Tutto comincia Gogna di carta (...) con la nota puntata di "Che tempo che fa", trasmissione condotta faziosamente da Fabio Fazio. Ospite di turno è Marco Travaglio, autore del libro "Se li conosci li eviti". Durante la puntata Travaglio fa il Travaglio, così racconta alcuni fatti riguardanti il presidente Schifani, mescolando amicizie a suo dire pericolose con lombrichi e muffe. Monta la polemica. A Travaglio sarebbe bastato rammentare che alla mafia Schifani ha fatto un regalone memorabile, cioè l'inasprimento del 41 bis: il carcere duro per i mafiosi. Non male per uno che sarebbe in debito con Cosa Nostra, no? Fatto sta che Travaglio non molla l'osso, sente l'odore di martirio giornalistico e va avanti per la sua strada nella speranza di farsi cacciare dalla Rai.

Il che sarebbe un drammatico errore. "Giù le mani da Travaglio" gridano i suoi soliti compagni di viaggio Santoro, Grillo, Furio Colombo, la Guzzanti, il gruppo di Micromega. All'appello però manca il gruppo Repubblica-Espresso, solitamente sulla stessa frequenza d'onda. Stavolta le penne giustizialiste del giornale fondato da Eugenio Scalfari non s'accodano. Anzi, gliele suonano di santa ragione.

Due giorni fa esce un pezzo a firma Giuseppe D'Avanzo, che pizzica Travaglio e gli fa la ramanzina sulla neutralità dei fatti e sul rapporto di lealtà con il lettore al quale non si può vendere la realtà per quella che non è. Marcolino si legge il pezzo e chiede ospitalità a Repubblica per una replica. Affare fatto. «Caro direttore», scrive carico di sarcasmo il fustigatore di Annozero e Unità, «ringrazio D'Avanzo per la lezione di giornalismo che mi ha impartito. Ma per quanto mi riguarda temo di essere irrecuperabile, avendo lavorato per cattivi maestri come Montanelli, Biagi, Rinaldi, Furio Colombo e altri... Mi sono limitato a rammentare un fatto vero». Chiusa qui? Macché. La risposta di D'Avanzo è una rasoiata.

Comincia con una sottile presa per i fondelli sul suo rapporto con i maestri illustri: «Non so che cosa davvero pensassero dell'allievo gli eccellenti maestri di Marco Travaglio». Per arrivare alla botta finale, dove spiega che non sempre i fatti sono la verità. Vi faccio un esempio, spiega D'Avanzo. E racconta di un incontro tra un certo Marco e un certo Pippo, sottufficiale di polizia giudiziaria. I due vanno in vacanza assieme. Pippo - continua nell'esempio il corsivista di Repubblica - è amico di un certo Aiello poi condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso. Lo stesso Pippo sarà poi condannato per aver favorito Aiello e per aver rivelato segreti d'ufficio utili a favorire la latitanza di Bernardo Provenzano.

Ma chi è questo Marco che va in vacanza con Pippo? Lui, Marco Travaglio. Minchia, verrebbe da esclamare: pure Marcolino frequenta amici pericolosi? A leggere Repubblica sì. Sebbene, precisa D'Avanzo, nessuno si sognerebbe di domandare a Travaglio spiegazioni di quell'amicizia e di quella vacanza. Anche se... «pure Travaglio può essere travolto dal metodo Travaglio». Capita la nuova morale di Repubblica? «La necessaria critica alla classe politico-istituzionale merita onesto giornalismo, non un qualunquismo antipolitico alimentato, per interesse particolare, da un linciaggio continuo e irrefrenabile».

Travaglio, Grillo, Santoro e soci sono serviti di barba e capelli; anche se alla fine bisogna riconoscere che almeno loro sono coerenti. Vedremo quanto durerà il nuovo verbo debenedettiano. Certo, verrebbe da domandare perché tanto senso della misura non sia stato applicato negli ultimi due anni, dove l'innamoramento di certe redazioni per noti pubblici ministeri è scolpito in articoli e in inchieste. Poi smentite dall'epilogo dei fatti, come dimostrano le assoluzioni di Mastella o di Lele Mora.

L'impressione perciò è un'altra. Forse anche dalle parti di Repubblica e dell'Espresso si sono accorti che, fatto cadere Prodi, dietro la curva non c'era alcun nuovo Messia pronto a guidare il Paese. E che le tessere numero uno non servono a nulla, ora che il Cavaliere è tornato al governo. Non solo. La linea giustizialista dei giornali dell'Ingegnere ha allevato Tonino Di Pietro, lo ha fatto ingrassare di voti. Il guaio è che ora, per Veltroni, Tonino è un problema, perché l'ex pm non ha concorrenti nell'antiberlusconismo. Più alzerà il tiro e più raccoglierà voti.

Le Europee sono dietro l'angolo. Ricapitolando. In un colpo solo, la linea De Benedetti ha:
1) fatto cadere Prodi;
2) riportato al governo quel Berlusca a loro tanto inviso;
3) messo in difficoltà l'astro nascente Veltroni;
4) favorito Di Pietro e la cosiddetta antipolitica.

Complimenti Ingegnere, ha messo su un vero capolavoro politico. Repubblica molla Travaglio e gli rende pan per focaccia: anche tu in hotel coi mafiosi. La tragicomica faida dei manettari

Anonimo ha detto...

E, visto che ci siamo, provate a riflettere (grande sforzo vi chiedo, lo so) su quest'altro articolo:

MA DAVVERO QUELLI DI SINISTRA SONO “I MIGLIORI” ???
14.05.2008 da Libero http://libero-news.dnsalias.com/libero/LF_main.jsp


Al “Sunday Times”, Gianni Alemanno, nuovo sindaco di Roma, ha dichiarato: “Non sono fascista, né ex fascista, né postfascista”. E il domenicale britannico ha titolato: “L’Italia aveva bisogno del fascismo, dice il nuovo Duce”. Quando si dice l’obiettività della stampa inglese.

Del resto Alemanno è nato molti anni dopo la fine del ventennio. Dunque non può essere stato né fascista, né ex fascista. Semmai può essere definito ex missino che è altra cosa. Ex fascisti sono coloro che aderirono al Pnf durante il regime, magari da giovani, ai Littoriali. E talora, arrivata la democrazia, diventarono grandi firme, intellettuali o politici, anche di sinistra. Il “Sunday” dovrebbe intervistare loro.

Prendiamo Eugenio Scalfari che ha appena pubblicato un libro di meditazioni autobiografiche, esaltato su tutti i giornali (domenica, per dire, da Barbara Spinelli sulla “Stampa”) e celebrato anche alla Fiera del libro di Torino. Un capitolo comincia così: “Sono stato balilla a sei anni, balilla moschettiere a dieci, avanguardista a quattordici, fascista universitario a diciassette. Fui espulso dal Guf nel gennaio del ’43. Fino a quel momento, cioè per undici anni di seguito dall’infanzia all’adolescenza sono stato fascista e mi sono sentito fascista. Ho aderito senza particolari difficoltà agli slogan sulla giovinezza, sulla romanità, sul destino eroico della nazione, sulla lungimiranza politica del Duce e sulla sua funzione storica”.

A parte alcuni particolari di questa autobiografia su cui ci sarebbe da “divertirsi”, Scalfari ricorda, sia pure di sfuggita, che proprio in quegli anni e con quelle idee e parole d’ordine entrò nella professione giornalistica, scrivendo su “Roma fascista”, e con articoli molto brillanti che già mostravano il suo notevole talento: “pensavo di essere uno dei pochi veri e sinceri fascisti…”.

Alemanno ha oggi dichiarato al giornale inglese che odia “tutti i totalitarismi” e che il fascismo “deve essere condannato”. Ma al Sunday non basta. Lo mette nel mirino per aver detto che il fascismo ebbe dei caratteri modernizzatori perché – ad esempio – bonificò le paludi e costruì un quartiere come l’Eur. Il giornalista inglese – che dev’essere di scarse letture - non sa che questa è una semplice constatazione che si ritrova nelle pagine dello storico serio. E non implica affatto l’essere fascisti. Tanto è vero che il già citato Scalfari, nel suo libro, oggi fa la stessa analisi per quanto riguarda l’aspetto politico-comunicativo: “Nacque con il fascismo il partito di massa, un’intuizione moderna (come parecchie altre, a cominciare dalla personalizzazione della politica e del partito nella figura del Capo) fondata su alcuni strumenti di notevole efficacia di carattere culturale e di un tipo specifico di scenografia”.

Dunque Scalfari attribuisce a Mussolini “un’intuizione moderna” della politica. A nessuno verrebbe in mente oggi di criminalizzare questa semplice constatazione. Peraltro non è affatto detto che la “modernità” significhi per forza positività. Così come, non si può giudicare il leader del comunismo sovietico, Lenin, come un “fascista” o un “filofascista” per aver detto ai comunisti italiani che “In Italia c’era un solo uomo capace di compiere la rivoluzione, Mussolini, e voi ve lo siete lasciati scappare”.

E’ curioso. Abbiamo avuto un presidente della Camera, Bertinotti, che ancora si dice comunista e nessuno ha avuto da ridire quando è stato eletto alla terza carica dello Stato. E’ arrivato Fini che non è mai stato fascista (neanche era nato nel ventennio), è stato solo del Msi, anzi è stato quello che ha liquidato il Msi, e ne viene fuori un caso, pur essendo considerato da tutti un convinto democratico.

Abbiamo un presidente della Repubblica che è stato comunista, anzi dirigente del Pci al tempo dell’Unione sovietica, ma nessuno ha da eccepire. Perché nessuno discute oggi la sua sicura fede democratica. Così per Veltroni, che ha il suo bel passato comunista. Se però il nuovo sindaco di Roma militò in gioventù nel Msi (ripeto: non ex fascista, ma ex missino), allora si parla di fascismo. Certo, Alemanno è figlio di una stagione nella quale i giovani di destra e di sinistra ricorsero anche alle mani.

“D’Alema può concedersi frivolezze come ‘sono un vecchio bolscevico’, e confessare di aver tirato una bottiglia molotov negli anni duri” (Edmondo Berselli, La Repubblica, 3.2.2005). Ma Alemanno no.

D’Alema ha fatto il presidente del Consiglio e il ministro degli esteri senza che il “Sunday Times” lanciasse allarmi. Il bello è che c’è perfino da dubitare che D’Alema abbia mai veramente lanciato quella molotov. Per esempio, Luigi Manconi (che in gioventù fu in Lotta continua e poi è stato classe dirigente di questo Paese) dice che la molotov di D’Alema è “cosa della quale dubito seriamente” (Corriere della sera, 4.1.2001).

Ma perché per un politico diessino-democratico è quasi un titolo d’onore, o almeno una simpatica civetteria, il ricordo di una monelleria, aver tirato una molotov in gioventù e per Alemanno dev’essere una colpa indicibile? A chi – come il sottoscritto – ha sempre detestato le ideologie e allora non ebbe mai simpatia né per il comunismo, né per il fascismo, militando in Comunione e liberazione che fu il bersaglio di tante violenze degli estremisti, questo doppiopesismo dà la nausea. Mi sembra che riveli – questo sì – una discutibile cultura democratica.

Antonio Socci
Da Libero, 13.5.2008

DISCUTIBILE CULTURA DEMOCRATICA: visto che si parla di voi, ci sarebbe da definirvi non già "turisti della democrazia" come disse il Cavaliere a Strasburgo, bensì "diversamente democratici": questa è la definizione che meglio vi si aggrada!

Anonimo ha detto...

Anche se devo ammettere che Berlusconi un bel pò di porcate le ha fatte in questi anni. Portarsi le amanti in Parlamento, far eleggere mafiosi, farsi leggi ad personam, figure di merda internazianali... ma mi hanno detto che se continuo così forse fra i lecchini a cui da qualche incarico rientro anche io...

Anonimo ha detto...

E' proprio il caso di dire Padania ladrona...