giovedì 22 maggio 2008

Mauro Biani e Don Luigi Ciotti sui ROM




Mauro Biani - http://maurobiani.splinder.com/


Copincolliamo anche un bell'intervento di Don Luigi Ciotti


Cara signora, ho visto questa mattina, sulle prime pagine di molti quotidiani, una foto che La ritrae. Accovacciata su un furgoncino aperto, scassato, uno scialle attorno alla testa. Dietro di Lei si intravedono due bambine, una più grande, con gli occhi sbarrati, spaventati, e l'altra, piccola, che ha invece gli occhi chiusi: immagino le sue due figlie. Accanto a Lei la figura di un uomo, di spalle: suo marito, presumo. Nel suo volto, signora, si legge un'espressione di imbarazzo misto a rassegnazione.
Vi stanno portando via da Ponticelli, zona orientale di Napoli, dove il campo in cui abitavate è stato incendiato. Sul retro di quel furgoncino male in arnese - reti da materasso a fare da sponda - una scritta: «ferrovecchi».

Le scrivo, cara signora, per chiederLe scusa. Conosco il suo popolo, le sue storie. Proprio di recente, nei dintorni di Torino, ho incontrato una vostra comunità: quanta sofferenza, ma anche quanta umanità e dignità in quei volti. Nel nostro paese si parla tanto, da anni ormai, di sicurezza. É un'esigenza sacrosanta, la sicurezza. Il bisogno di sicurezza ce lo abbiamo tutti, è trasversale, appartiene a ogni essere umano, a ogni comunità, a ogni popolo. É il bisogno di sentirci rispettati, protetti, amati. Il bisogno di vivere in pace, di incontrare disponibilità e collaborazione nel nostro prossimo. Per tutelare questo bisogno ogni comunità, anche la vostra, ha deciso di dotarsi di una serie di regole. Ha stabilito dei patti di convivenza, deciso quello che era lecito fare e quello che non era lecito, perché danneggiava questo bene comune nel quale ognuno poteva riconoscersi. Chi trasgrediva la regola veniva punito, a volte con la perdita della libertà. Ma anche quella punizione, la peggiore per un uomo - essendo la libertà il bene più prezioso, e voi da popolo nomade lo sapete bene - doveva servire per reintegrare nella comunità, per riaccogliere. Il segno della civiltà è anche quello di una giustizia che punisce il trasgressore non per vendicarsi ma per accompagnarlo, attraverso la pena, a un cambiamento, a una crescita, a una presa di coscienza.

Da molto tempo questa concezione della sicurezza sta franando. Sta franando di fronte alle paure della gente. Paure provocate dall'insicurezza economica - che riguarda un numero sempre maggiore di persone - e dalla presenza nelle nostre città di volti e storie che l'insicurezza economica la vivono già tragicamente come povertà e sradicamento, e che hanno dovuto lasciare i loro paesi proprio nella speranza di una vita migliore.

Cercherò, cara signora, di spiegarmi con un'immagine. É come se ci sentissimo tutti su una nave in balia delle onde, e sapendo che il numero delle scialuppe è limitato, il rischio di affondare ci fa percepire il nostro prossimo come un concorrente, uno che potrebbe salvarsi al nostro posto. La reazione è allora di scacciare dalla nave quelli considerati "di troppo", e pazienza se sono quasi sempre i più vulnerabili. La logica del capro espiatorio - alimentata anche da un uso irresponsabile di parole e immagini, da un'informazione a volte pronta a fomentare odi e paure - funziona così. Ci si accanisce su chi sta sotto di noi, su chi è più indifeso, senza capire che questa è una logica suicida che potrebbe trasformare noi stessi un giorno in vittime.

Vivo con grande preoccupazione questo stato di cose. La storia ci ha insegnato che dalla legittima persecuzione del reato si può facilmente passare, se viene meno la giustizia e la razionalità, alla criminalizzazione del popolo, della condizione esistenziale, dell'idea: ebrei, omosessuali, nomadi, dissidenti politici l'hanno provato sulla loro pelle.

Lo ripeto, non si tratta di "giustificare" il crimine, ma di avere il coraggio di riconoscere che chi vive ai margini, senza opportunità, è più incline a commettere reati rispetto a chi invece è integrato. E di non dimenticare quelle forme molto diffuse d'illegalità che non suscitano uguale allarme sociale perché "depenalizzate" nelle coscienze di chi le pratica, frutto di un individualismo insofferente ormai a regole e limiti di sorta.

Infine di fare attenzione a tutti gli interessi in gioco: la lotta al crimine, quando scivola nella demagogia e nella semplificazione, in certi territori può trovare sostenitori perfino in esponenti della criminalità organizzata, che distolgono così l'attenzione delle forze dell'ordine e continuano più indisturbati nei loro affari.

Vorrei però anche darLe un segno di speranza. Mi creda, sono tante le persone che ogni giorno, nel "sociale", nella politica, nella amministrazione delle città, si sporcano le mani. Tanti i gruppi e le associazioni che con fatica e determinazione cercano di dimostrare che un'altra sicurezza è possibile. Che dove si costruisce accoglienza, dove le persone si sentono riconosciute, per ciò stesso vogliono assumersi doveri e responsabilità, vogliono partecipare da cittadini alla vita comune.

La legalità, che è necessaria, deve fondarsi sulla prossimità e sulla giustizia sociale. Chiedere agli altri di rispettare una legge senza averli messi prima in condizione di diventare cittadini, è prendere in giro gli altri e noi stessi. E il ventilato proposito di istituire un "reato d'immigrazione clandestina" nasce proprio da questo mix di cinismo e ipocrisia: invece di limitare la clandestinità la aumenterà, aumentando di conseguenza sofferenza, tendenza a delinquere, paure.

Un'ultima cosa vorrei dirLe, cara signora. Mi auguro che questa foto che La ritrae insieme ai Suoi cari possa scuotere almeno un po' le nostre coscienze. Servire a guardarci dentro e chiederci se davvero questa è la direzione in cui vogliamo andare. Stimolare quei sentimenti di attenzione, sollecitudine, immedesimazione, che molti italiani, mi creda - anche per essere stati figli e nipoti di migranti - continuano a nutrire.

La abbraccio, dovunque Lei sia in questo momento, con Suo marito e le Sue bambine. E mi permetto di dirLe che lo faccio anche a nome dei tanti che credono e s'impegnano per un mondo più giusto e più umano.

Luigi Ciotti
presidente del Gruppo Abele e di «Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie»

3 commenti:

Anonimo ha detto...

EDITORIALE “LA VOCE DI MANTOVA”, 21. 05.2008

MA SENTI UN PO’ CHI CI FA LA MORALE
di Matteo Vincenzi
Leggi il cognome del vice-premier spagnolo Maria Teresa Fernandez de la Vega e la tua mente corre subito alla famiglia di Zorro, l’eroe mascherato che da bambini tutti abbiamo ammirato.
Poi la senti al telegiornale, la ascolti parlare e la tua mente riprende a correre. Questa volta soltanto per il desiderio di allontanarti rapidamente dalle sue uscite, sperando che il servizio successivo subentri il prima possibile.

Nota per le politiche molto libertarie verso i gay, ma soprattutto per l’intransigente trattamento riservato ai clandestini, ha dichiarato che “il governo spagnolo respinge la violenza, il razzismo e la xenofobia e pertanto non può condividere quello che sta succedendo in Italia”.

Ma pensa un po’ da che pulpito viene la predica.
Madrid, che ora s’è messa a farci la morale, dovrebbe ricordarsi che invece ai clandestini spara direttamente addosso.

La numero due dell’esecutivo Zapatero s’è forse scordata che nessuno protestò, quando l’esercito, su ordine governativo, aprì il fuoco sugli immigrati che cercavano di scavalcare i reticolati in acciaio innalzati lungo le enclaves iberiche sulle coste africane di Ceuta e Melilla.
Ha anche omesso di menzionare il modo in cui gli immigrati vengono rimpatriati: prima di salire sugli aerei devono presentare un certificato medico che attesti le loro condizioni di salute, quindi vengono fatti sedere con mani legate per tutto il viaggio.
Nell’evenienza che divenissero violenti, tentando di ribellarsi, la polizia è autorizzata ad immobilizzarli con camicie di forza e caschi di auto-protezione (protocollo firmato dall’esecutivo Zapatero, ndr). Senza dimenticare la minaccia di tagliare gli aiuti economici a tutti quei paesi dell’Africa che non avessero collaborato nel trattenere i propri cittadini.

Per concludere due curiosità: il Governo Zapatero ha già rispedito a casa almeno 800.000 clandestini e fatto chiudere d’autorità circa 700 moschee illegali.

Ultimissima cosa: per “cavarsela” degli immigrati che lavorano nell’edilizia e che ora – in piena crisi del settore – sono stati licenziati, ha annunciato un pacchetto di misure per indurli a ritornare nel loro paese d’origine.

Non è che, forse, la cotonata vice-premier spagnola sia invece preoccupata dal fatto che, lanciato il messaggio che l’Italia intende chiudere le frontiere – monitorando le acque territoriali -, dalle coste libiche i barconi proveranno a dirigersi verso altre coste, magari proprio quelle iberiche? Ecco la vera preoccupazione della signora de la Vega.

Matteo Vincenzi

Anonimo ha detto...

Roma - «Ma da che pulpito...!» s’indigna Stefano Zappalà, vice-presidente della commissione Libe (libertà e giustizia) dell’Europarlamento.

Ce l’ha con i socialisti spagnoli per le raffiche di accuse che fanno partire contro l’Italia sulla questione immigrati. «Dovrebbero tacere e vergognarsi!» rileva al telefono da Strasburgo. Perchè lui c’era a Ceuta e Melilla quando l’8 e il 9 dicembre del 2005, una commissione Ue andò a verificare lo stato dei centri di accoglienza temporanea delle due enclave spagnole in territorio marocchino, dopo che l’anno prima erano stati uccisi 5 emigranti e ben 45 rimasero gravemente feriti a seguito di un tentativo di irruzione in territorio europeo e dopo che, nel corso dei mesi seguenti, si erano contate ancora 11 vittime tra i disperati che provavano a saltare il «muro».

Già. Perchè se sono noti quello di Berlino (buttato giù), quello israeliano (ancora in costruzione) e quello al confine Usa-Messico, pochi sanno che anche Madrid ha fatto costruire il suo: una doppia barriera di filo spinato lunga più di 10 chilometri, alta 6 metri, all’interno della quale c’è una strada per permettere il passaggio di automezzi. Un muro spinato che i clandestini, già inseguiti dalle forze dell’ordine marocchine - che spesso depredano i disgraziati che vi si avvicinano e li portano da lì fino al Sahara algerino, lasciandoli nella sabbia - provano a saltare in ogni modo. «Costruiscono scale con tronchetti di palma. Poi si radunano in gruppi diversi a distanza di qualche chilometro, così che quando la Guardia civil si prepara a entrare in azione da una parte, l’altro gruppo parte all’assalto - racconta ancora Zappalà -. Ma spessissimo finisce che tentando il salto dalla prima rete vanno a sbattere sulla seconda, provocandosi ferite gravissime su tutto il corpo».

Ne ha visto di sangue, l’eurodeputato azzurro, nei Ctp delle due città spagnole. «Sbreghi su petti, gambe, braccia. Volti tumefatti di povera gente». E gli spagnoli? «Niente. Si limitavano a far sapere di essere obbligati ai respingimenti. Il doppio filo spinato serve a quello: se uno scivola nella strada di mezzo, viene subito accompagnato ad una delle porte che si aprono verso il Marocco. Si avverte la milizia di Rabat e li si lasciano lì, pronti per la deportazione nel Sahara». Quel che poi ha potuto fare la Ue su Ceuta e Melilla è ben poco: «L’immigrazione, nonostante Frattini abbia fatto notare più volte la necessità di un intervento integrato europeo, è tema proprio dei singoli paesi. C’è chi nella Ue ha definito l’immigrazione clandestina reato penale, chi lo definisce reato dopo 3 mesi, chi dopo 6. Il nostro mandato era ricognitivo, non d’indagine. Abbiamo votato un documento con alcune raccomandazioni, ad esempio, ma a Madrid hanno fatto finta di nulla».

Proprio tra le raccomandazioni dell’Europarlamento c’era quella di fornire ragguagli sulla strage dell’anno precedente. Ancora non c’è stata risposta, visto che l’indagine non è chiusa a causa delle dichiarazioni opposte di militari marocchini e Guardia civil iberica. I primi sostengono che i colpi sono stati sparati ad altezza d’uomo dalla polizia spagnola. Quest’ultima sostiene invece che le pallottole venivano dal deserto. «Resta il fatto che le accuse che oggi partono verso di noi da Madrid sono una entrata a gamba tesa che non meritiamo: noi andiamo persino con la nostra marina militare a salvare i barconi che naufragano al largo di Lampedusa, mentre gli spagnoli...» osserva laconico Zappalà. E che l’elenco di soprusi a Ceuta e Melilla - tra spagnoli e marocchini, poca la differenza - sia lungo, lo dimostra anche la sfilza di testimonianze raccolte da Medici senza frontiere ( http://www.meltingpot.org ) che parlano di centinaia e centinaia di feriti, umiliati, deportati, morsi da cani e addirittura violentati. Un massacro vero e proprio davanti al quale i tentativi di rogo dell’accampamento rom a Ponticelli sono quasi uno scherzo.

Anche perché a Napoli era gente inferocita, e non certo le forze armate, a minacciare l’accampamento degli zingari. Mentre a Ceuta e Melilla (su cui la pressione si è fatta più forte da quando gli spagnoli hanno aumentato la vigilanza alle Canarie) sono uomini in divisa a prendere a calci e a pugni l’esercito dei disperati che si ammassa a fianco del muro e, spesso, a ributtarli nel deserto privi di sostentamento.

da Il Giornale http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=262811

Anonimo ha detto...

FACCE DI BRONZO DEL GOVERNO SPAGNOLO
Pubblicato il 20/05/08 alle 16:15:07 GMT

Izquierda loca: la Spagna che ha ancora colonie, che alza muri e fa sparare sugli emigrati, ci accusa di xenofobia di Carlo Panella http://www.carlopanella.it/web/dett-edi.asp?ID=508
Ha ragione Bossi a ricordare che il pulpito da cui sono venute le critiche al governo Berlusconi è quello di due ministre di un paese, la Spagna, che sugli immigrati ha sparato a raffica nel 2005.
Ma non l'ha detta tutta. Gli incidenti sanguinosi del 2005 scoppiarono perché la Spagna mantiene ancora due domini sul territorio spagnolo, Ceuta e Melilla, che aveva comprato dal Portogallo nel 1668.
Di fatto, senza giri di parole, si tratta di due colonie, che infatti, a piena ragione, il Marocco continua a reclamare sotto la sua sovranità
Non basta, la sinistra spagnola difende l'hispanicità -coloniale- di queste due città, mandando la Guardia Civil a presidiar de alte muraglie che le separano dal Marocco. Apartheid, sotto il profilo tecnico, dunque.
Ancora, nel 2005 centinaia di marocchini presero d'assalto quei muri, per potere andare in Spagna a lavorare.
Ci fu una sparatoria, di sicuro sparò la polizia marocchina, molte Ong sostennero che aveva sparato la Guardia Civil: 8 i morti, decine i feriti.
Ancora: la polizia marocchina, per aiutare la Guardia Civil a difendere il Muro, prese alcune decine di marocchini che volevano emigrare, li trasportò nel Sahara e li abbandonò lì, come denunciato sempre da alcune Ong.
Le due ministre furono personalmente corresponsabili di quelle scelte.
Ora -mentre Zapatero è a Lima- insultano l'Italia perché chiude dei campi nomadi irregolari.
Se volete capire perché la sinistra sta declinando in Europa, ecco un'ottima traccia per trovare una spiegazione

articolo inviato da Istituto Culturale della Comunità Islamica Italiana
http://www.amislam.com islam.inst@alice.it


Noi il 3 ottobre 2005, su quell’episodio e sui fatti che riguardano Ceuta e Melilla, tuttora rimasti irrisolti, avevamo pubblicato un articolo con questo titolo:
ZAPATERO FA STRAGE DI CLANDESTINI
ma in italia la sinistra non parla firmato da Gaetano Saglimbeni, con tanto di fotografie. Lo trovate pubblicato qui:
http://www.lisistrata.com//2005Saglimbenipolitica/031zapaterofastrage.htm